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#dietrolanotizia: la prima volta al mondo per un trapianto volto-mani

Al Langone Hospital di News York, il ventenne Joe Di Meo ha ricevuto un trapianto completo di volto e mani dopo un grave incidente in automobile. Il giovane dopo un grave incidente in automobile nel quale il fuoco ha devastato l’80 per cento del suo corpo a causa di ustioni di terzo grado e delle mani ridotte a nulla.

Il fuoco divampato durante l’incidente aveva devastato l’80% del suo corpo, con ustioni di terzo grado e le mani ridotte in niente. Trascorse quattro mesi al Saint Barnabas Medical Center di Livingston, per la maggior parte del tempo in coma indotto. Viene sottoposto a venti interventi chirurgici, ma il risultato è parziale e la possibilità di usare volto e mani resta limitata fino a che, nell’agosto del 2019, grazie a un team di 140 medici diretti da Rodriguez, Joe riceve il trapianto completo di volto e mani. Un intervento delicatissimo, senza precedenti, durato 23 ore. Dopo sei mesi dall’ultima operazione, è stato possibile togliere i bendaggi.

Fino ad oggi nel mondo i trapianti di viso sono stati una quarantina e poco più di 80 quelli delle mani, di una sola o entrambe. Joe Di Meo è il primo paziente sottoposto a entrambi gli interventi contemporaneamente. Il fatto che viso e mani provenissero da un unico donatore ha permesso di ridurre significativamente i rischi di rigetto.

Una notizia questa che mette in luce i numerosi progressi della medicina dei trapianti negli ultimi anni. Abbiamo chiesto al nostro coordinatore scientifico, dott. Sergio Vesconi, di spiegarci meglio cosa comporti dal punto di vista clinico un doppio trapianto di tal genere e quale sia la situazione in Italia.


Diciamo subito che in Italia per ora non esiste un programma, neppure in via sperimentale, per il trapianto combinato del  volto e della mano o mani. Sono invece attivi programmi per il trapianto degli arti superiori (singolo o bilaterale) e di faccia, riservati a pochi centri autorizzati e con una casistica piuttosto limitata.

Per quanto riguarda gli arti superiori, dopo il primo caso del 2000, si conta una decina di interventi, peraltro piuttosto datati nel tempo: è noto il caso della paziente sottoposta a doppio trapianto di mani circa 10 anni fa, che gode attualmente di buona salute e mostra una straordinaria funzionalità di entrambe le estremità. In generale tuttavia i risultati sono poco incoraggianti e in alcuni casi si è dovuto procedere all’amputazione dell’arto trapiantato.

Per quanto riguarda la faccia, si registra in Italia un solo caso, eseguito a Roma nel 2018, su una paziente affetta da una forma avanzata di neurofibromatosi che provoca una gravissima deformazione del volto, tale da ostacolare le normali funzioni (alimentazione e respirazione). L’intervento, estremamente lungo e complesso, purtroppo ha avuto un esito sfavorevole, probabilmente a causa di problemi di vascolarizzazione dei nuovi tessuti, più che di rigetto, ed è stato necessario rimuovere i tessuti innestati. La paziente è viva e resta in attesa di un’eventuale seconda opportunità.

Dal punto di vista tecnico si tratta, in entrambi i casi, di interventi di microchirurgia di estrema difficoltà, con la necessità di eseguire un altissimo numero di anastomosi vascolari e nervose su strutture di calibro ridottissimo.

Oltre alle problematiche di tipo chirurgico, questo tipo di trapianto, di tipo non-salvavita a stretto rigore, apre una serie di questioni di natura etico-deontologica, dato che anche in questi casi è indispensabile seguire una terapia immunosoppressiva per tutta la vita, con tutte le possibili complicazioni correlate.

A questo proposito segnaliamo che l’utilizzo combinato delle cellule staminali mesenchimali derivate dal paziente stesso si è dimostrato in grado di migliorare sensibilmente la tolleranza nei confronti dei tessuti estranei.

Anche per queste ragioni il trapianto degli arti e della faccia trova indicazione solo in casi molto selezionati, quando per esempio l’uso di protesi non riesce possibile o le conseguenze della malformazioni sono inaccettabili e mettono a rischio la vita stessa della persona. In ogni caso è necessario una esauriente valutazione del profilo psicologico del candidato al trapianto.

Se pensiamo alle mani, non si deve dimenticare che attualmente sono disponibili protesi meccaniche sempre più sofisticate e funzionali e di recente sono stati descritti casi di impianto di “mani bioniche”, una sorta di mano robotica che, impiantata a livello dell’avambraccio dell’arto amputato, è capace di registrare i segnali elettrici inviati dai muscoli e tradurli in movimenti della mano e inoltre è dotata di  sensori posizionati in punti strategici capaci di inviare messaggi ai nervi sensitivi e quindi trasformarli in informazioni sensoriali.

Abbiamo già accennato all’aspetto psicologico della questione, che appare particolarmente delicato: in molti casi i pazienti trapiantati hanno sviluppato una forma di “rigetto mentale”, per  la progressiva incapacità di accettare l’arto estraneo, arrivando fino al punto di chiederne la rimozione. Il fenomeno del “rifiuto psicologico” del trapianto, vissuto come elemento  estraneo o addirittura come “invasore” è noto e ben descritto in letteratura: è stato fatto osservare che nel caso di trapianto di arti e faccia questo aspetto è molto più accentuato di quanto accade per i trapianti di organi, probabilmente  a causa del fatto che il paziente ha continuamente la percezione, anche visiva, del “corpo estraneo”.

Anche sul versante della donazione, questo tema presenta degli aspetti particolari: si è infatti constato che è molto problematico richiedere e ottenere il consenso al prelievo, sia delle mani sia naturalmente della faccia. L’impatto sui famigliari è infatti ancora più traumatico e spesso questo determina il mancato consenso. Se si considera che il numero dei possibili donatori è già in partenza ridotto (per questioni di età, sesso, aspetto generale e così via) questo fattore spiega le ulteriori difficoltà che questo tipo di trapianto incontra.

Il trapianto combinato apre senza dubbio nuove opportunità, in particolare per quanto riguarda la gestione della terapia antirigetto, ma è evidente che si tratta di un primo passo in un percorso assai complesso e forse destinato a trovare diverse soluzioni.

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