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PROTOCOLLO
Il Centro Nazionale Trapianti e la Conferenza Stato-Regioni stabiliscono protocolli e linee guida comuni e nazionali, valide per i centri trapianto e le liste di attesa regionali, sul reperimento, trattamento, conservazione, trasporto e distribuzione, ovvero gestione delle liste di attesa e criteri di assegnazione.
Il protocollo per la valutazione di idoneità del donatore di organi solidi è finalizzato a ridurre al minimo il rischio di trasmissione di malattie dal donatore al ricevente in seguito al trapianto.
«il processo di valutazione d’idoneità del donatore deve essere inteso come un percorso orientato a raccogliere, attraverso l’anamnesi, le indagini di laboratorio, l’esame clinico e l’osservazione al tavolo operatorio, il maggior numero possibile di informazioni tese non ad escludere bensì ad accertare se esistano patologie trasmissibili dal donatore al ricevente.» Questo protocollo, in continuo aggiornamento a seconda della documentazione che riceve il Centro Trapianti, definisce le modalità operative del processo di valutazione del donatore, dall’anamnesi, agli esami e all’analisi del rischio del donatore, classificandolo secondo parametri standard.
I protocolli elaborati dal Centro Unico Nazionale Trapianti definiscono i parametri tecnici ed i criteri per l’inserimento dei dati relativi alle persone in attesa di trapianto allo scopo di assicurare l’omogeneità dei dati stessi, con particolare riferimento alla tipologia ed all’urgenza del trapianto richiesto, e di consentire l’individuazione dei riceventi; illustrano i criteri per l’assegnazione degli organi e dei tessuti secondo parametri stabiliti esclusivamente in base alle urgenze ed alle compatibilità risultanti dai dati contenuti nelle liste di attesa, con l’obiettivo di evitare alcun tipo di discriminazione.
Oltre che per la gestione dell’urgenza, I protocolli sono alla base dei programmi di donazione e trapianto a livello nazionale, come quello pediatrico, quello per pazienti iperimmuni, il crossover, la donazione samaritana, gli scambi internazionali.
Vi sono protocolli specifici per tipologia di trapianto che permettono di condividere le linee guida con i vari centri di trapianto, tenendo conto delle direttive dell’Unione Europea, delle condizioni particolari che si possono manifestare nel corso del tempo e delle nuove conoscenze tecnico-scientifiche.
Per esempio durante la pandemia da Coronavirus è stato necessario elaborare specifici protocolli per la sicurezza del processo e la gestione dei donatori e dei riceventi positivi, così come sono state introdotte modifiche nell’approccio ai potenziali donatori HIV positivi, sempre attraverso lo strumento dei protocolli condivisi.
PROCUREMENT
Il “procurement” in italiano reperimento, è quel processo che attraverso l’identificazione del potenziale donatore porta all’effettiva donazione, al prelievo e quindi al trapianto.
“Una delle fasi attraverso le quali passa Il miglioramento dell’attività di “procurement” è l’ottimizzazione del processo di identificazione dei potenziali donatori: il sistema deve poter garantire la messa in campo delle iniziative mirate a questo scopo, con particolare riguardo al monitoraggio e alla valutazione continua delle performance delle strutture, nel loro complesso (livello nazionale‐regionale) e a livello singolo, anche in relazione agli obiettivi dei programmi di trapianto.” (S. Vesconi)
L’identificazione del soggetto con potenzialità di donazione, è il punto chiave del processo di procurement, è di competenza dei medici di area critica, degli intensivisti, in particolare, e deve essere inserita nelle linee-guida clinico-organizzative nazionali, regionali e locali. La segnalazione del soggetto con potenzialità di donazione, al Coordinamento locale ospedaliero attiva la funzione di coordinamento del processo di donazione; questa ha quindi inizio con l’accertamento di morte che pone termine, in modo definito, al processo di cura del paziente. Pertanto, assume particolare importanza e valore, nella corretta gestione del processo di donazione il Coordinamento Ospedaliero per il procurement (art. 4, comma 4, decreto ministeriale 19 novembre 2015) quale unità operativa, diretta dal Coordinatore locale, in staff alla Direzione sanitaria aziendale, alla cui attività concorre il personale di area critica.
Il coordinatore locale è il responsabile unico a livello ospedaliero e deve garantire non solo l’efficienza in ogni fase di svolgimento del processo, ma anche un’adeguata e qualificata assistenza clinica al potenziale donatore al fine di mantenere nelle migliori condizioni possibili gli organi da prelevare.
Queste figure, collocate all’interno del processo di cura, devono garantire tutta la fase gestionale dall’insufficienza d’organo, alla fase di trapianto e del breve e lungo periodo del post-trapianto.
La rete di coordinamento abbraccia due principali settori. L’area cosiddetta di reperimento (procurement) e l’area di allocazione. Il coordinatore locale opera principalmente nella prima area. Di conseguenza avrà il compito di:
– assicurare l’immediata comunicazione dei dati relativi il donatore, tramite il sistema informativo dei trapianti, al Centro regionale o interregionale competente e al CNT al fine dell’assegnazione degli organi;
– curare i rapporti con le famiglie dei donatori;
– coordinare gli atti amministrativi relativi agli interventi di prelievo;
– organizzare le attività di informazione, educazione e sensibilizzazione in materia di trapianti per il territorio di competenza.
PRESERVAZIONE (anche conservazione)
L’insieme delle metodiche e delle procedure che possono essere applicate per garantire la miglior funzionalità degli organi una volta rimossi dall’organismo, dal momento del prelievo fino all’impianto nel ricevente, quando sono nuovamente perfusi.
E’ un aspetto cruciale del trapianto, dal quale dipende in buona misura il suo esito finale.
Inevitabilmente deve passare un certo lasso di tempo prima di poter effettuare il trapianto degli organi, una volta prelevati, per questioni di tipo clinico e organizzativo (individuare i riceventi, convocarli presso i centri di trapianto e prepararli all’intervento, trasportare gli organi alle loro destinazioni finali, completare le indagini per la qualità e la sicurezza).
Si tratta di un periodo di possibile sofferenza per gli organi, privati della normale e fisiologica perfusione sanguigna e dell’apporto di ossigeno e nutrienti, con danni più o meno gravi e conseguenze sulla loro funzionalità.
E’ bene ricordare che anche dopo la morte, nel donatore cadavere gli organi restano adeguatamente perfusi grazie alla persistenza della circolazione spontanea (nella donazione a cuore battente, in morte cerebrale) o garantita artificialmente (nella donazione a cuore fermo) con macchinari dedicati, fino al momento del prelievo.
Da questo momento è necessario intervenire per limitare quanto più possibile i danni alle cellule causati dall’ischemia (mancanza di perfusione), tenendo conto che anche in queste condizioni i processi metabolici proseguono fino al completo esaurimento delle riserve energetiche delle cellule e quindi alla loro morte.
A partire dagli anni ’60 la tecnica universalmente impiegata consiste nel raffreddamento degli organi in combinazione con la infusione nell’organo isolato di soluzioni opportunamente studiate per limitare gli effetti negativi della mancanza di ossigeno.
Queste soluzioni sono iniettate fredde dai chirurghi prelevatori nei vasi sanguigni appena prima del prelievo, dopo di che gli organi vengono immediatamente immersi nello stesso liquido, in appositi contenitori, in ambiente freddo, per il successivo trasporto. In questa fase la temperatura è costantemente monitorata.
Questa particolare modalità di preservazione è nota come Static Cold Storage, per sottolineare l’aspetto di “cristallizzazione” dell’organo in condizioni di ipotermia, anche in contrapposizione alle metodiche “dinamiche”, che utilizzano tecniche di perfusione (vedi).
Attualmente la soluzione più largamente utilizzata è quella nota come Wisconsin, che ha una composizione elettrolitica che riproduce l’ambiente intracellulare, arricchita con sostanze tampone e antiedemigene.
L’abbassamento della temperatura fino a 0-4°C è in grado di ridurre drasticamente l’attività metabolica delle cellule e quindi il fabbisogno di ossigeno e nutrienti; combinato con le capacità di citoprotezione delle soluzioni impiegate questo sistema è in grado garantire la conservazione di un’adeguata funzionalità degli organi per un significativo lasso di tempo, che varia da organo e organo. Questo tempo è definito con il termine di “tempo di ischemia fredda” o Cold Ischemic Time (CIT), un fattore determinante per la buon riuscita del trapianto.
Il tempo massimo di preservazione a freddo è per cuore di 4 ore (in casi particolari fino a 6), 6 (fino a 8) per il polmone, 8 (fino a 12) per il fegato, 8 (fino a 18) per il pancreas, 24 (fino a 36) per il rene.
Per molti anni questo sistema di preservazione degli organi, semplice e poco costoso, ha garantito la possibilità di guadagnare il tempo necessario per risolvere problemi organizzativi e clinici ed effettuare trapianti in sicurezza.
Più recentemente si è sviluppato molto interesse verso un diverso approccio, basato sul principio della preservazione dinamica degli organi.
In sintesi questi sistemi prevedono la possibilità di mantenere negli organi prelevati un flusso continuo di soluzioni particolari, utilizzando circuiti e pompe all’interno di apparecchiature trasportabili.
Questo consente di mantenere la perfusione gli organi anche dopo il prelievo, fino al momento dell’impianto, riproducendo una situazione molto più vicina a quella fisiologica, soprattutto se si opera in regime di normotermia, con l’impiego di sangue e globuli rossi.
A differenza di quanto accade nella preservazione a freddo, in queste condizioni l’attività metabolica può essere mantenuta, risulta quindi possibile prolungare il tempo prima dell’impianto, effettuare una miglior valutazione della funzionalità dell’organo, allargando i criteri di accettazione dei potenziali donatori, applicare interventi riparativi.
I vantaggi della preservazione dinamica, con la perfusione gli organi, sono evidenti: i limiti sono legati ai costi di queste apparecchiature ma soprattutto agli aspetti organizzativi, in quanto il loro corretto funzionamento deve essere costantemente monitorato da personale qualificato.
Ogni organo presenta delle proprie peculiarità e di conseguenza sono state realizzate specifiche apparecchiature per i reni, il cuore, il fegato, i polmoni, che possono lavorare a diverse temperature e con soluzioni di perfusione differenti.
In questo campo la ricerca clinica è in continua evoluzione per definire con precisione le indicazioni più appropriate e le modalità tecniche più efficaci, ma è indubbio che queste metodiche hanno un impatto di estrema importanza sull’attività trapiantologica.
PERFUSIONE
E’ l’insieme delle metodiche di preservazione degli organi di natura cosiddetta dinamica, realizzata in modo tale da mantenere artificialmente la loro perfusione con soluzioni protettive.
Dal punto di vista storico, è interessante osservare che questa è stata la prima modalità di preservazione proposta, agli inizi del secolo scorso, da parte di Carrell e Lindbergh (il trasvolatore dell’Atlantico), ma è solo in tempi recenti che questo approccio ha iniziato ad avere una rilevanza crescente, grazie soprattutto agli sviluppi tecnologici.
il mantenimento di una qualsiasi forma di perfusione degli organi consente di limitare uno dei principali effetti negativi della conservazione statica, con il freddo, i danni alle cellule indotti dal brusco passaggio da una condizione all’altra, il meccanismo noto come danno da “ischemia-riperfusione”.
Durante la fase di “cristallizzazione fredda” infatti il metabolismo cellulare, seppur ridotto, continua con l’accumulo di sostanze di scarto che devono poi essere “lavate” quando la circolazione riprende dopo l’impianto dell’organo. Anche il ripristino del flusso sanguigno e della temperatura, pur attuato con la dovuta gradualità, induce una certa quota di danno alla strutture e alla funzionalità delle cellule.
La preservazione dinamica basata sulla perfusione degli organi consente di evitare buona parte di queste conseguenze.
Dal punto di vista tecnico, i sistemi di perfusione funzionano con l’impiego di una pompa che spinge la soluzione di lavaggio nell’albero circolatorio dell’organo collegato con i circuiti della pompa, assicurando quindi un flusso di tipo pulsatile o continuo. Le soluzioni impiegate hanno diversa composizione, con presenza o meno di sangue e globuli rossi. Anche la temperatura può essere modulata (perfusione normotermica o ipotermica), mentre la durata del trattamento può arrivare a molte ore.
La perfusione degli organi può essere attuata con due distinte modalità, nel donatore, prima del prelievo (“in situ”), o dopo il prelievo, fuori quindi dal corpo (“ex situ”), e le due possono essere tra loro combinate in sequenza.
La prima metodica è largamente utilizzata nella gestione della donazione a cuore fermo, per garantire la preservazione degli organi dopo l’arresto cardiocircolatorio, prima del prelievo.
La seconda si applica invece agli organi prelevati e con l’utilizzo di apposite apparecchiature consente il loro trasporto anche su lunghe distanze, con tempi che facilitano la soluzione di problemi clinici e organizzativi, senza effetti detrimentali sulla loro funzionalità.
Sono disponibili sistemi di perfusione per ogni organo, adattati alle specifiche caratteristiche anatomiche e funzionali.
La perfusione “ex situ” permette di mantenere una certa quota di attività metabolica, la valutazione funzionale (per esempio la produzione di bile del fegato isolato), consente di effettuare interventi di riparazione o la somministrazione di farmaci protettivi. Ciò ha anche reso possibile l’utilizzo di organi precedentemente considerati “marginali o addirittura non idonei” e quindi allargare la platea dei donatori e il numero dei trapianti.
I vantaggi della perfusione degli organi sono quindi evidenti e dimostrati nella pratica clinica. I limiti attuali sono rappresentati dalla complessità tecnica e quindi organizzativa, dai costi degli apparecchi, ma soprattutto dalla necessità di impiegare personale qualificato durante tutta la fase di trattamento.
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