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RIGETTO
Il rigetto è una reazione biologica normale, con la quale il sistema immunitario del ricevente riconosce come estraneo l’organo trapiantato e lo tratta come tratterebbe un batterio o un virus che si sono introdotti nel corpo, cercando di attaccarlo; il rigetto è tanto più forte quanto più diverse sono le caratteristiche biologiche del donatore e del ricevente, e per questo è necessario analizzare queste caratteristiche, ciò a tipizzare i donatori e i riceventi per dare organi il più possibile compatibili. E’ qualcosa di simile alla determinazione dei gruppi sanguigni a scopo di trasfusione, ma più complesso.
Il rigetto può avvenire in momenti diversi dopo il trapianto. In base al tempo in cui si verifica si distinguono:
- rigetto iperacuto (compare da qualche minuto a poche ore dopo il trapianto) Le moderne procedure di selezione tra donatore e ricevente hanno reso questa forma di rigetto un’eventualità sempre più rara.
- rigetto acuto (avviene da qualche giorno a poche settimane dopo il trapianto). A volte può svilupparsi in tempi lunghi, e può causare danni definitivi all’organo trapiantato se non è subito riconosciuto. Un episodio singolo non è grave se riconosciuto e trattato immediatamente; se il fenomeno capita più volte, tende a cronicizzarsi e a provocare il fallimento del trapianto. Questo tipo di rigetto è il motivo primario per cui i pazienti trapiantati devono prendere farmaci immunosoppressori per il resto della loro vita con estrema attenzione e perseveranza.
- rigetto cronico (si manifesta da alcuni mesi fino a diversi anni dopo il trapianto) indica tutte le perdite di funzionalità dell’organo trapiantato sul lungo periodo, ed è associato alla fibrosi dei vasi sanguigni dell’organo; viene indicata così anche la reazione continua del sistema immunitario contro il nuovo organo. Il rigetto cronico causa in genere la perdita dell’organo e la necessità di un nuovo trapianto entro una decina d’anni. Il rigetto cronico è irreversibile e non può essere curato con successo; l’unica possibilità è un nuovo trapianto, se necessario.
La diagnosi di rigetto è essenzialmente clinica e viene sostenuta dall’esame istologico su un campione bioptico dell’organo interessato.
In prima istanza il rigetto viene trattato con una terapia di “salvataggio” (rescue) farmacologica particolarmente aggressiva.
La regolare assunzione della terapia antirigetto e il monitoraggio dei loro livelli nel sangue sono essenziali per la prevenzione di questa complicanza, che rappresenta tuttora la prevalente causa di fallimento del trapianto.
I meccanismi che determinano le varie tipologie di rigetto sono diversi e possono essere legati alla presenza/produzione di anticorpi (rigetto umorale) e/o dall’attivazione diretta di cellule del sistema immunitario, i linfociti (rigetto cellulare). Nel caso del rigetto cronico la causa è, probabilmente, multifattoriale ed è legata a meccanismi immunitari e non (tossicità ai farmaci, ischemia cronica, ripetuti attacchi immunitari precedenti di rigetto acuto).
In caso di trapianto di cellule staminali emopoietiche si assiste anche ad una forma particolare di rigetto, denominato malattia del trapianto contro l’ospite (Graft Versus Host Disease -GVHD), in cui le cellule del sistema immunitario del donatore attaccano gli organi e i tessuti del ricevente, riconoscendolo come corpo estraneo.
L’introduzione della terapia con i farmaci immunosoppressori ha largamente aumentato la sopravvivenza dopo i trapianti riducendo il rischio di rigetto e di insorgenza della GVHD. L’uso di tali farmaci, tuttavia, può determinare una condizione di immunodepressione con conseguente aumentata suscettibilità alle infezioni.
RITRAPIANTO
Il ritrapianto consiste nell’effettuazione di un nuovo trapianto a seguito del fallimento del precedente intervento subito dal paziente, quando cioè l’organo trapiantato non funziona in maniera adeguata.
Questo fenomeno può verificarsi in un tempo molto precoce (primary graft failure, insuffcienza primaria dell’innesto) o nel corso degli anni successivi, solitamente a causa del rigetto cronico. (Vedi rigetto)
Teoricamente il ritrapianto può essere previsto per ogni tipo di trapianto e sotto il profilo normativo non vi è un numero massimo di trapianti ai quali un paziente può essere sottoposto.
Il ritrapianto è innanzitutto una problematica di natura clinica. Presa visione del mancato o insufficiente funzionamento del primo trapianto, i curanti valutano se il paziente è idoneo all’iscrizione in lista e se, quindi, è in condizione di ricevere un secondo organo. Questa decisione può essere presa “in acuto” (come per la mancata partenza di un fegato nell’immediato o nei primi 10 giorni) e può determinare la necessità di un ritrapianto urgente. Un quadro analogo può verificarsi per il cuore. Per il rene questo principio è diverso poiché se l’organo non riparte il paziente può essere sottoposto a trattamento dialitico.
Nelle diverse casistiche si riporta un’incidenza di ritrapianti del 4% circa e occorre sottolineare che i risultati osservati sono meno buoni rispetto a quelli osservati con il primo trapianto. Sovente questi pazienti sviluppano nel tempo un elevati numero di anticorpi e questo rende problematico sia il reperimento di un donatore idoneo sia il successivo trattamento antirigetto.
Il ritrapianto interessa in misura maggiore il fegato e il rene, più raramente il cuore e ancor meno il polmone. In letteratura sono riportati casi di multipli ritrapianti, anche fino a 5 volte nello stesso soggetto, ma si tratta di situazioni molto limite, molto particolari.
Oltre che sotto il profilo clinico, il ritrapianto pone anche questioni dal punto di vista etico. Infatti a causa della ridotta disponibilità di organi, è legittimo chiedersi fino a qual punto è corretto, a parità di altre condizioni, previlegiare un paziente già trapiantato rispetto a quelli in lista d’attesa.
In problema non è di facile soluzione, non ha risposte univoche e deve essere affrontato di volta in volta dai curanti, soprattutto tenendo presente il fattore del “transplant benefit”, cioè delle probabilità attese di successo dell’intervento, in ogni situazione, per garantire al paziente un’ulteriore possibilità, senza tuttavia “sprecare” una preziosa risorsa.
Il tema è particolarmente delicato quando il fallimento del trapianto è legato ai comportamenti del paziente trapiantato, mancata aderenza alla terapia, stile di vita inadeguato, abuso di sostanze.
RICEVENTE
Nel caso della donazione da cadavere, il ricevente è il paziente iscritto nelle liste d’attesa di un Centro trapianti, al quale viene assegnato un organo disponibile per il trapianto. L’iscrizione in lista è indispensabile per garantire il corretto processo di valutazione clinica del paziente e definire le caratteristiche immunologiche ai fini della compatibilità, il criterio prevalentemente utilizzato per l’individuazione dei riceventi.
E’ noto infatti che il grado di compatibilità della coppia “donatore-ricevente” è il principale determinante dell’esito del trapianto.
Complessi algoritmi gestiti dai centri coordinamento regionale e nazionale consentono di identificare all’interno delle diverse liste d’attesa il miglior ricevente (il più idoneo) per ogni singolo organo disponibile.
Si attiva a questo punto un’articolata procedura grazie alla quale i riceventi tempestivamente allertati si presentano all’ospedale sede del centro trapianti e vengono adeguatamente preparati all’intervento.
E’ in questa ultima fase che i pazienti in lista, dopo essere stati informati in maniera esauriente in precedenza, confermano il loro consenso al trapianto, fino a questo momento il candidato ricevente può rifiutare l’intervento.
Nel caso della donazione da vivente, il ricevente è l’elemento della coppia destinato a ricevere l’organo (rene) o la parte di esso (come nel caso del fegato, del polmone o dell’intestino) che viene prelevata dal donatore.
RETE NAZIONALE TRAPIANTI
La Rete Nazionale Trapianti è una delle reti cliniche del nostro Sistema Sanitario Nazionale. In particolare, la Rete è finalizzata a promuovere una più efficiente ed efficace gestione dell’attività di donazione di organi, tessuti e cellule, della qualità e sicurezza dei processi clinici, organizzativi e gestionali, dell’informazione e formazione degli operatori.
La Rete Nazionale Trapianti, seppur eterogenea per strutture e platee di attori, condivide principi etici e solidaristici propri del nostro sistema sanitario, quali la trasparenza, l’equità, la sicurezza, la gratuità e liberalità della donazione.
La Rnt ha diversi livelli di interventi:
- Il primo a livello nazionale è ricoperto dal CNT, Centro Nazionale Trapianti, che insieme al Ministero della Salute, le Regioni e le Province Autonome, è l’Autorità Competente per le attività di donazione e trapianto di organi, tessuti e cellule.
- Il secondo a livello regionale è gestito dai Centri Regionali o Interregionali per i Trapianti (CRT), strutture pubbliche che, tra i diversi compiti, coordinano, a livello regionale, le attività di procurement, donazione e trapianto e procedono all’assegnazione degli organi;
- Il terzo a livello locale è organizzato attraverso i coordinamenti ospedalieri, le strutture per i prelievi, le strutture per i trapianti e infine gli istituti per i tessuti. Queste istituzioni pubbliche assicurano che tutte le occasioni di donazione e di trapianto siano trattate con la massima cura, precisione e immediatezza, rispettando i principi e i protocolli nazionali e internazionali.
Un aspetto particolare dell’attività della Rete è la elaborazione e la condivisione di protocolli operativi per la gestione delle emergenze e dei casi a livello nazionale, come quello per il trapianti pediatrico e il trapianto nei soggetti iperimmuni, di difficile trapiantabilità per l’elevato tasso di anticorpi sviluppati.
La rete offre anche l’opportunità della cosiddetta “second opinion”, cioè di avvalersi del parere di professionisti particolarmente esperti per supportare i clinici nella gestione di casi problematici, di natura infettivologica, oncologica, medico-legale ed etica.
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