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Trapianto nell’uomo di maiale geneticamente modificato

Si tratta del primo caso riportato dalla letteratura di trapianto nell’uomo di un cuore di maiale geneticamente modificato, con esito positivo.

Dal punto di vista tecnico, questo tipo di trapianto viene definito come “xenotrapianto”, che prevede l’utilizzo di organi e cellule da una specie diversa dall’uomo.

Questo approccio ha una lunga storia alle spalle: negli anni 60, furono trapiantati in alcuni pazienti i reni di scimpanzé, ma il paziente più fortunato visse 9 mesi. Nel 1983, venne trapiantato un cuore di babbuino in un bimbo, ribattezzato Baby Fae, che però visse venti giorni appena. L’operazione avvenuta nel Maryland è stata preceduta nei mesi scorsi da un tentativo simile a New York, quando i chirurghi trapiantarono un rene di un maiale geneticamente modificato in una persona cerebralmente morta, per verificare la fattibilità di questa metodica.

I principali limiti dello xenotrapianto sono costituiti da un lato dal rigetto, amplificato dall’impiego di specie differenti da quella umana, dall’altro dal rischio di trasmissione di infezioni, soprattutto quelle sostenute da retrovirus silenti, usualmente presenti nel genoma di questi animali e potenzialmente in grado di fare quel salto di specie e causare nuove gravi forme morbose nell’uomo, totalmente esposto, come insegna la pandemia da SARS COV2.

Per contro il principale vantaggio risiede nella possibilità di poter disporre di organi in quantità teoricamente illimitate e soddisfare il crescente fabbisogno dei pazienti in lista d’attesa.

Le tecniche di manipolazione genetica o di “editing genomico”, note anche come CRISPR (Clustered Regularly Interspaced Short Palindormic Repeats), così importanti da avere assicurato il premio Nobel per la chimica del 2020 ai loro scopritori, consentono di allevare animali “ingegnerizzati”, privati dei più potenti siti antigenici, quelli che innescano la risposta immunologica nel ricevente dopo il trapianto e affrontare quindi il primo ostacolo.

Il trapianto di un tale organo, combinato con la somministrazione di recenti e potenti famaci antirigetto ha consentito di ottenere i risultati favorevoli del caso descritto.

Per quanto riguarda il problema infettivo, questo rischio attualmente sembra facilmente controllato, ma è opinione corrente che potrebbe essere ulteriormente ridotto in modo significativo allevando questi animali in ambienti protetti, ad alto livello di biosicurezza e svezzati molto precocemente.

In generale si parla oramai solo di maiali, dato che i suini offrono il vantaggio di esser facili da allevare e raggiungono le dimensioni adatte a essere trapianti in un corpo umano in appena sei mesi.

Da ultimo non dobbiamo trascurare i problemi di natura etica e morale sollevati, e non solo negli ambienti “animalisti”, da questo  approccio, basato sull’utilizzo di animali come meri “pezzi di ricambio”.

Pur con tutti questi limiti, le prospettive che si aprono nel campo dello xenotrapianto appaiono molto interessanti e in grado di contribuire ad alleviare il problema della carenza di organi da trapiantare.

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