LA TERAPIA GENICA EVITERÀ IL TRAPIANTO AI PAZIENTI AFFETTI DALLA SINDROME DI CRIGLER NAJJAR
L’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo sta conducendo una sperimentazione come principal investigator di un progetto internazionale di ricerca. Le prime tre pazienti, sottoposte due anni fa alla terapia, sono state trattate con successo e, ora, non sono più costrette a sottoporsi ogni notte alle lampade a raggi ultravioletti per ridurre i livelli di biliribuna.
di Francesca Boldreghini
È un momento storico per i pazienti affetti dalla sindrome di Crigler-Najjar: la terapia genica sperimentale, oggetto di uno studio clinico pubblicato sul New England Journal of Medicine, che ne aveva confermato l’efficacia sull’essere umano, è stata testata per la prima volta con successo nell’uomo, su tre donne: la sperimentazione si è rivelata sicura ed è stato individuato il livello di dosaggio che ne garantisce l’efficacia. I risultati preliminari del trial sono stati presentati il 22 ottobre scorso al Congresso della European Society of Gene & Cell Therapy (ESGCT). A soli dieci giorni dall’inizio della terapia, le pazienti hanno mostrato una decisa riduzione del livello di bilirubina nel sangue e, entro un mese, questa sostanza si è assestata ad un livello pressoché normale, non più tossico e quindi non più pericoloso per il cervello.
I protagonisti di questo risultato internazionale sono in gran parte italiani. La sperimentazione, che vede l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo come principal investigator, è stata realizzata nell’ambito del progetto internazionale di ricerca denominato CureCN, condotto da Généthon (organizzazione fondata da AFM-Téléthon) e finanziato dalla Comunità Europea all’interno del programma “Horizon 2020”. Oltre al Papa Giovanni, centro che ha arruolato il maggior numero di pazienti, fa parte del progetto di ricerca anche il TIGEM di Pozzuoli (Organizzazione non-profit fondata dal Telethon italiano) e, come centri di ricerca, anche gli ospedali universitari di Amsterdam AMC e Parigi Antoine Béclère. Il team di Bergamo, guidato dal dottor Loenzo D’Antiga, primo autore dello studio, ha condotto la fase clinica, mentre la progettazione e la realizzazione del farmaco, inclusi tutti i test preclinici che avevano permesso di testarne l’efficacia e la sicurezza, sono state sviluppate da Généthon. Fondamentale è stato anche il contributo dell’associazione CIAMI, che da 30 anni sostiene i pazienti italiani affetti dalla sindrome di Crigler-Najjar ed è impegnata a promuovere la ricerca in questo campo.
La sindrome di Crigler-Najjar è una malattia genetica ultra-rara che rende il fegato incapace di trasformare la bilirubina, il pigmento responsabile del colore giallastro della pelle, in una forma idrosolubile e quindi eliminabile dal corpo. La conseguenza è che la bilirubina si accumula nel sangue e nei tessuti e, se non si adottano misure specifiche per ridurne i livelli, si deposita nel sistema nervoso centrale causando danni cerebrali irreversibili. È come se l’ittero fisiologico dei neonati persistesse per tutta la vita, anziché risolversi rapidamente. L’unica procedura in grado di correggere definitivamente il difetto era, fino ad oggi, il trapianto di fegato. Per chi è affetto dalla sindrome di Crigler-Najjar, inoltre, la sola strategia finora disponibile per tenere sotto controllo i livelli di bilirubina è dormire tutta la notte sotto lampade a raggi ultravioletti (fototerapia), anche 10 o 12 ore ogni notte, nei casi più gravi. Una pratica che impatta pesantemente sulla qualità della vita di chi è affetto da questa malattia.
La nuova terapia genica, che si presenta come valida alternativa al trapianto e regala ai pazienti la prospettiva di eliminare la fototerapia, si avvale di un virus innocuo, svuotato del corredo genetico e sostituito col gene da correggere. Il virus, chiamato «adeno-associato», entra nelle cellule epatiche, raggiunge il nucleo e libera il piccolo frammento genetico che va a posizionarsi accanto al Dna, senza modificarlo. Da lì, il gene terapeutico inizia a produrre la proteina che i cromosomi originari non erano in grado di sintetizzare, a causa della mutazione che determina la malattia.
La prima paziente al mondo con sindrome di Crigler-Najjar a sottoporsi con successo alla terapia genica è stata, il 18 novembre 2020, all’Ospedale di Bergamo, Gaia Groppi, una ragazza di 29 anni di Varese. Quattro mesi dopo la terapia, Gaia ha potuto spegnere le luci blu della lampada sotto la quale ha dormito per tutta la vita. È iniziata una nuova vita, senza la fototerapia notturna, anche per le altre due pazienti, due ragazze di 22 e 30 anni, trattate rispettivamente a marzo e a giugno 2021, sempre all’Ospedale di Bergamo.
Il dottor Lorenzo D’Antiga, Direttore della Pediatria dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e sperimentatore principale dello studio, ha dichiarato: “Devo dire che è stata una vera emozione vedere i segni così evidenti dell’effetto della terapia sulle tre pazienti. Il colore della loro pelle ha perso il caratteristico colore giallastro, tipico della malattia. Ma il dato più importante, al di là dell’aspetto estetico e della possibilità di sospendere la fototerapia intrapresa fin dalla nascita, è che per queste pazienti si prospetta ora una riduzione dei rischi causati dalla bilirubina, tossica per il sistema nervoso centrale e a livello cerebrale. Siamo di fronte alla prima prova in assoluto dell’efficacia di una terapia genica in una malattia metabolica del fegato, che potrà scongiurare il trapianto”.
Il gruppo di lavoro del Papa Giovanni di Bergamo continuerà la sperimentazione della terapia genica su altri candidati, per completare il progetto che prevede, in totale, il trattamento di 17 pazienti. L’interesse nel mondo scientifico su questa sperimentazione è altissimo, tanto che, all’International Liver Congress della Società Europea di Epatologia (EASL), l’esposizione del dottor Antiga è stata annoverata tra le migliori del congresso e inclusa nella selezione ‘Best of ILC’. “Stiamo già lavorando su altre malattie rare del fegato, e speriamo di poter offrire i vantaggi della terapia genica anche a pazienti affetti da altre patologie”, ha concluso D’Antiga.
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Nota scientifica di Sergio Vesconi
Il trapianto di fegato in età pediatrica (cioè in pazienti di età inferiore ai 17 anni), frutto del lavoro multidisciplinare che vede coinvolti molteplici professionalità (chirurghi del trapianto, pediatri gastroenterologi/epatologi, intensivisti, psicologi, infermieri) si è sviluppato grandemente in pochi centri specialistici sia per le notevoli competenze richieste sia perché il fabbisogno è numericamente inferiore. Le indicazioni pediatriche sono molto diverse rispetto a quelle dell’età adulta e sono necessarie la conoscenza e l’applicazione di tutte le tecniche chirurgiche vista l’età e le dimensioni dei candidati. La specificità del trapianto pediatrico risiede inoltre nel grande impatto emotivo della procedura su tutto l’ambito familiare in genere già duramente provato da un’esperienza di malattia cronica fin dai primi giorni di vita che richiede una particolare attenzione a tutti gli aspetti clinici, gestionali e psicologici in ogni momento gestionale.
Ogni 10.000 mila nati, due sono affetti da epatopatie congenite così gravi da richiedere il trapianto di fegato in età pediatrica; oltre la metà deve essere trapiantata entro i primi due anni di vita.
Il trapianto rappresenta la terapia di scelta per i problemi di fegato che evolvono verso l’insufficienza d’organo terminale e acuta. Le malattie colestatiche (ad es. atresia delle vie biliari) ed i difetti congeniti del metabolismo (come appunto la malattia di Crigler Najjar) costituiscono il 90% delle indicazioni al trapianto in età pediatrica. Indicazioni molto rare se non eccezionali sono le malattie croniche di fegato da infezioni virali da virus B e C. Come per l’adulto esiste l’indicazione al trapianto d’urgenza per le forme di epatite fulminante da cause metaboliche, tossiche, virali e autoimmuni.
L’organizzazione del sistema dei trapianti pediatrici nazionale gestito dal CNT è oggi una delle migliori esistenti al mondo e soddisfa le richieste grazie all’utilizzo di tecniche chirurgiche particolari come lo split, tanto che di fatto le liste d’attesa pediatriche in Italia sono ridotte al minimo (3 mesi circa in media). Inoltre sono attivi in alcuni centri programmi di collaborazione internazionale con paesi esteri dove questo tipo di trattamento non è al momento disponibile.
Annoveriamo cinque centri specialistici che effettuano un significativo numero di trapianti (Azienda ospedaliera Papa Giovanni 23 di Bergamo, ISMETT di Palermo, Ospedale Bambin Gesù di Roma, Azienda Universitaria Ospedaliera di Padova, Azienda S. Giovanni Battista di Torino).
Il trapianto può avvenire da donatore deceduto o da vivente.
Nel primo caso, nei bambini l’organo può essere trapiantato per intero se anche il donatore è un bambino, altrimenti solo una porzione se è adulto: questa metodica, detta “split liver”, consente di dividere il fegato in due parti e di trapiantare la parte più piccola nel bambino e quella di maggiori dimensioni a un paziente non pediatrico, grazie alla sua capacità di rigenerarsi.
La stessa metodica viene utilizzata nella donazione da vivente, prelevando una piccola porzione dell’organo del donatore, solitamente un genitore del piccolo paziente.
Negli ultimi 20 anni in Italia sono stati eseguiti oltre 1.500 trapianti di fegato pediatrici, dei quali oltre 200 da vivente, con una sopravvivenza a dieci anni che supera il 90%.
Il bambino trapiantato può e deve fare una vita il più possibile normale. Il gioco, la scuola, gli amici, l’attività sportiva, le comunità infantili o giovanili. Un’attenzione particolare va posta alla possibilità di contrarre malattie infettive dell’età pediatrica. Importanza decisiva rivestono le vaccinazioni somministrate prima e dopo il trapianto che consentono di prevenire una buona quota di malattie. Il rigetto acuto o cronico rappresenta l’aspetto più critico della fase post-trapianto: la regolare assunzione della terapia immunosoppressiva e i controlli programmati garantiscono il miglior esito di questa procedura salvavita.
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