NUOVE FRONTIERE NEL TRAPIANTO DI FEGATO DA DONATORE VIVENTE: LA SVOLTA VERSO SINISTRA
Ancora un intervento all’avanguardia nella chirurgia dei trapianti di fegato all’Azienda Ospedale Università di Padova, dove è stato eseguito un trapianto di fegato da due donatori viventi. Una donna di 52 anni ha ricevuto un fegato nuovo, ricostruito grazie alla doppia donazione da vivente dei suoi due nipoti di 29 e di 30 anni, che hanno donato il lobi sinistri del loro fegato. L’organo è stato rigenerato in 4 settimane. A capo dell’équipe dei trapianti, il professor Umberto Cillo, che, per riVivere, insieme al dottor Alessandro Furlanetto, ha approfondito per la nostra testata il tema della donazione da vivente, raccontandoci lo straordinario intervento effettuato.
di Umberto Cillo e Alessandro Furlanetto
con l’introduzione di Francesca Boldreghini
Due donatori viventi di fegato, per una ricevente
All’Azienda Ospedale Università di Padova, nel mese di luglio, è stato eseguito un eccezionale trapianto di fegato, risultato della donazione in vita di due porzioni di fegato da due donatori diversi.
A ricevere il trapianto, una donna di 52 anni, in pericolo di vita, affetta da metastasi non resecabili da adenocarcinoma del colon, sulla quale la chemioterapia non aveva più effetto. I donatori in vita sono due suoi nipoti, due fratelli di 29 e 30 anni, che hanno donato i loro due (piccoli) lobi sinistri, in una percentuale del 25% del loro fegato. La tecnica utilizzata si chiama Dual Liver Transplantation, per cui vengono prelevati i lobi sinistri di entrambi i donatori, circa il 25%, appunto, che rigenera completamente l’organo del ricevente in 4 settimane.
“Questo significativo intervento – ha detto il direttore del Centro Nazionale Trapianti Massimo Cardillo – si inserisce in un programma, il trapianto di fegato da vivente, che è già partito in Italia e sul quale è stata già maturata una significativa esperienza. Un tipo di operazione che può essere fatta se si ha un donatore disponibile all’interno della famiglia. In particolare, qui l’innovazione nasce dal fatto che sono stati utilizzati due donatori per un singolo ricevente. Ciò – ha concluso Cardillo – per minimizzare l’invasività dell’intervento nei donatori e al tempo stesso raccogliere una quantità di tessuto sufficiente per la ripresa funzionale del fegato nel paziente trapiantato”.
L’intervento, unico nel suo genere, ha coinvolto 15 chirurghi, 4 anestesisti, 30 infermieri, 3 sale operatorie in contemporanea, per un totale di 20 ore di intervento.
A capo dell’équipe, il professor Umberto Cillo, Direttore Chirurgia Generale 2 – Chirurgia Epato-bilio-pancreatica e dei Trapianti di Fegato Azienda Ospedale Università di Padova, che per riVivere, insieme al dottor Alessandro Furlanetto, ha approfondito il tema della donazione da vivente e ci ha raccontato l’eccezionale intervento svolto.
Approfondimento del professor Umberto Cillo e del dottor Alessandro Furlanetto
Il trapianto di fegato rappresenta l’unica speranza per moltissimi pazienti affetti da malattie altrimenti incurabili e mortali. Tuttavia, la cronica scarsità di organi da donatore deceduto e i limiti di taglia e di compatibilità fra donatori e riceventi rappresentano ancora oggi un ostacolo al pieno accesso a questo trattamento. Molti pazienti muoiono o vengono esclusi dalla lista prima di ricevere un organo.
Il trapianto da donatore vivente rappresenta un’incredibile opportunità per espandere la platea dei donatori, facilitando l’accesso al trapianto per molti pazienti. L’elevatissima difficoltà tecnica e le implicazioni etiche legate, soprattutto, alla sicurezza del donatore, hanno però rappresentato negli ultimi trent’anni un ostacolo alla piena diffusione di questa metodica nei paesi occidentali.
La donazione da vivente è una tecnica estremamente complessa, che richiede grandissima esperienza e specializzazione da parte del team chirurgico, sia nel campo della chirurgia epatica che nel campo della trapiantologia, sia dell’adulto che del bambino.
La sicurezza e il benessere del donatore sono di primaria importanza ed è necessario garantire che la procedura non comporti rischi eccessivi per il donatore, sia nel breve che nel lungo periodo.
La tecnica tradizionale prevede la donazione del lobo destro del fegato, con sacrificio di circa il 60-65% del fegato. Dopo la donazione, il fegato ha l’incredibile caratteristica di rigenerare fino a raggiungere le dimensioni e la funzione normali. Tuttavia, come per qualsiasi procedura chirurgica, ci sono rischi di complicanze, tra cui infezioni, sanguinamenti, dolore post-operatorio e problemi legati all’anestesia.
Sulla base di queste considerazioni, negli ultimi anni abbiamo cercato di invertire il paradigma, concentrando i nostri sforzi sul minimizzare i rischi per il donatore. Nel dettaglio, questo si realizza cercando di prediligere tecniche a scarso impatto chirurgico e riducendo il sacrificio di parenchima, optando per la donazione del lobo sinistro del fegato
La riduzione dello stress chirurgico per il donatore passa attraverso la minimizzazione delle incisioni chirurgiche, l’utilizzo di tecniche mini-invasive come la tecnica robotica, e l’adozione di tutti i protocolli mirati alla rapida ripresa funzionale dopo chirurgia.
La donazione del lobo sinistro (circa 35% del fegato) riduce di molto l’entità della resezione, e dunque il rischio di complicanze nel donatore, con una più rapida ripresa funzionale e minori rischi. Il graft ottenuto è tuttavia di ridotte dimensioni (circa 200-300g).
La prima applicazione degli split sinistri è certamente il trapianto pediatrico, dal momento che il piccolo lobo sinistro può essere sufficiente ad un bambino di ridotte dimensioni. Ciò non è, però, altrettanto vero nel caso di riceventi adulti.
Sfruttando il potenziale del fegato di rigenerarsi, abbiamo adottato una tecnica di trapianto ausiliario associato ad epatectomia in due tempi, denominata RAPID. Nella tecnica RAPID, nel corso del primo tempo chirurgico si asporta parte del fegato nativo e si trapianta un lobo sinistro da donatore vivente. Modulando il flusso portale, si stimola quindi la crescita di questo piccolo graft, che nel giro di circa 15 giorni raggiunge dimensioni e funzione sufficienti a sostenere tutte le attività necessarie alla vita svolte dal fegato. Si procede dunque ad un secondo tempo chirurgico in cui si completa l’asportazione del fegato nativo.
Questa tecnica è stata utilizzata in più di venti casi nel mondo, di cui quattro eseguiti con ottimi risultati presso il nostro Centro, in pazienti affetti da tumore del colon con metastasi epatiche non resecabili.
Un’alternativa a stimolare la crescita del graft sinistro è quella di utilizzare contemporaneamente due graft sinistri, in quello che viene detto “dual liver”. Tale tecnica prevede di impiantare contemporaneamente due piccoli graft sinistri da due donatori viventi, all’interno di uno stesso ricevente, così da fornire la quantità di parenchima epatico necessaria a garantire la sopravvivenza del paziente.
Recentemente abbiamo eseguito il primo caso italiano di trapianto con tecnica “dual liver” su una donna di 52 anni, affetta da metastasi non resecabili da adenocarcinoma del colon, grazie alla generosità e al coraggio di due donatori viventi, i suoi nipoti di 28 e 30 anni.
Questa tecnica è estremamente difficile, dal momento che prevede due interventi di resezione epatica a scopo di donazione e un doppio trapianto, con otto anastomosi microchirurgiche ad elevatissima complessità. La procedura ha infatti coinvolto 15 chirurghi, 4 anestesisti, più di 30 fra infermieri e operatori, sviluppandosi contemporaneamente su 3 sale operatorie per una durata di oltre 20 ore di intervento
Il trapianto di fegato da donatore vivente rappresenta una soluzione innovativa ai problemi di scarsità di organi e offre una nuova prospettiva per i pazienti affetti da gravi patologie epatiche. La tecnica è tuttavia estremamente complessa e richiede un team estremamente specializzato ed esperto. La sicurezza e il benessere del donatore e del ricevente devono essere la principale preoccupazione, così come l’adeguatezza e la correttezza del consenso informato.
La tecnica ha tuttavia un elevatissimo potenziale di sviluppo e nei prossimi anni potrà rappresentare una rivoluzione nel campo della trapiantologia epatica, così come già lo è stata in quella renale.
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