TRAPIANTO DI RENE DA VIVENTE: SI PUÒ (E SI DEVE) FARE DI PIÙ! INTERVISTA A PAOLO RIGOTTI

“Il trapianto di rene da donatore vivente presenta ancora ampi margini di crescita nel nostro Paese, dove costituisce il 14% dei trapianti di rene eseguiti, a fronte del 30% di Nord Europa e di Stati Uniti. Gli esiti a lungo termine sono ottimi, in termini di funzione renale e di qualità di vita per donatore e ricevente. Fornire una corretta informazione e utilizzare una tecnica mininvasiva possono essere di incentivo alla promozione della donazione da vivente”, così il professor Paolo Rigotti, direttore della U.O.C. Chirurgia dei Trapianti di rene e pancreas Azienda Ospedale – Università di Padova, al primo posto in Italia per numero di trapianti di rene da donatore vivente.

di Sergio Vesconi

In Italia, ci sono attualmente quasi 6.000 pazienti in attesa di un trapianto di rene, con un tempo d’attesa medio di circa 3 anni: quale ruolo pensa che possa avere il trapianto da vivente in questo scenario?

Il trapianto di rene da donatore vivente ha un ruolo importante nel sopperire alla nota carenza di organi. In Italia il trapianto di rene da donatore vivente costituisce circa il 14% dei trapianti eseguiti, mentre in Nord Europa e negli Stati Uniti la percentuale è intorno al 30%, per cui sicuramente in Italia si può aumentarne la diffusione. Il trapianto di rene da donatore vivente presenta una serie di vantaggi rispetto al trapianto di rene da donatore deceduto, in quanto si tratta di un intervento programmato, con la possibilità che il paziente arrivi al trapianto senza dover fare la dialisi (trapianto pre-emptive) e che offre migliori risultati a lungo termine. 

Il Centro che lei dirige ha una casistica veramente significativa, al primo posto in Italia per numero di interventi: a cosa attribuisce questi risultati?

La crescita del Centro è stata progressiva negli anni, con l’introduzione di nuove metodiche. Sicuramente l’utilizzo della tecnica mininvasiva laparoscopica per l’intervento di nefrectomia per donazione costituisce un motivo di grande appeal per il potenziale donatore, visto che l’intervento è molto meno traumatico e presenta rapidi tempi di ripresa; inoltre, l’esperienza del Centro consente di gestire anche casi complessi, sia per quanto riguarda la nefrectomia (es. vasi renali multipli), sia per quanto riguarda il trapianto (es. trapianto AB0 incompatibile, terzo trapianto di rene). Tutte queste caratteristiche fanno sì che afferisca presso il Centro un gran numero di pazienti appartenenti anche ad altre regioni. 

A proposito di risultati, quali sono gli esiti a lungo termine di questa procedura, sia per i donatori sia per i riceventi? Come si vive con un solo rene?

Gli esiti a lungo termine sono ottimi, in termini di funzione renale e di qualità di vita per donatore e ricevente. Presso il nostro Centro, la percentuale di sopravvivenza dei pazienti ad un anno dal trapianto di rene da donatore vivente è pari al 99.6% e quella del graft è pari al 98%. Il potenziale donatore viene approfonditamente studiato prima di essere sottoposto all’intervento, proprio per garantire che la donazione non abbia impatto negativo sulla sua salute. 

Nel 2022, sono stati effettuati 335 trapianti di rene da vivente, pochi rispetto alla potenzialità: quali sono a suo parere i principali ostacoli che limitano lo sviluppo di questa pratica e quali sono le possibili azioni di miglioramento?

L’ostacolo principale alla donazione degli organi è la scarsa informazione da parte dei pazienti, dei loro familiari e anche dei medici rispetto al percorso di donazione, alla procedura e alle conseguenze della donazione. Fornire una corretta informazione e utilizzare una tecnica mininvasiva possono essere di incentivo alla promozione della donazione da vivente. 

A questo proposito, recentemente è stata avviata in Veneto un’indagine conoscitiva preliminare rivolta ai centri nefrologici, con l’obiettivo di evidenziare le necessità formative e di approfondimento in tema di trapianto da donatore vivente, e per implementare i trapianti pre-emptive (prima dell’avvio della terapia sostitutiva dialitica). In quasi tutti i centri è presente un ambulatorio dedicato ai pazienti con insufficienza renale terminale, che si occupa di informare i pazienti delle diverse possibilità terapeutiche e avviarli alla terapia sostitutiva migliore per ciascuno. Nonostante venga sempre proposto il trapianto da donatore vivente come opzione terapeutica, solo una minoranza dei pazienti affetti da Malattia Renale Cronica giunge al trapianto in fase pre-emptive. Infatti, di tutti i Centri intervistati, nell’ultimo anno, il 50% non ha inserito alcun paziente in lista trapianto prima dell’avvio della terapia sostitutiva, il 20% non ha concluso nessun trapianto da donatore vivente e il 25% ha portato a termine il trapianto per una sola coppia. Tutti i centri nefrologici hanno espresso la necessità di partecipare ad eventi formativi, sia per il personale medico che infermieristico, per la condivisione di percorsi diagnostico-terapeutici e per la diffusione delle conoscenze in ambito trapiantologico anche al personale dei centri periferici. 

Un aspetto importante è la realizzazione di percorsi facilitati, all’interno degli ospedali,  per far sì che tutte le complesse indagini necessarie per valutare l’idoneità del possibile donatore (che sono effettuate in regime di esenzione) siano coordinate e portate a termine in tempi rapidi. 

Nella sua esperienza, come è il vissuto delle persone che hanno affrontato questo complesso percorso clinico?

Generalmente, sia i pazienti trapianti che i rispettivi donatori, riportano l’esperienza come positiva e tendono a condividerla con altri pazienti, che spesso non hanno inizialmente preso in considerazione di intraprendere il percorso di trapianto da donatore vivente. In questo senso, la condivisione dell’esperienza, proprio da parte dei protagonisti, costituisce un incentivo alla donazione e permette anche di superare le reticenze da parte del ricevente. 

Ci può dire qualcosa su alcuni aspetti innovativi, come la donazione “cross over” e quella “ABO incompatibile”?

Entrambi i programmi sono volti a superare le barriere immunologiche che si possono verificare tra ricevente e potenziale donatore. Il programma di trapianto AB0 incompatibile consente di superare la barriera dell’incompatibilità di gruppo, quando il titolo degli anticorpi anti gruppo sanguigno risulti permissivo, il trapianto è possibile e viene preceduto da procedure di desensibilizzazione che permettono di ridurre il numero di questi anticorpi (chiamati isoemoagglutinine) mediante l’utilizzo di plasmaferesi. Per quanto riguarda il programma di cross-over invece è riservato a pazienti che presentano un potenziale donatore vivente immunologicamente non compatibile per la presenza di anticorpi anti-HLA, in questo caso è possibile eseguire incroci nelle coppie che aderiscono al programma, al fine di eseguire trapianti immunologicamente compatibili. 

Ricordiamo anche la procedura detta DEC-K (DECeased Kidney paired exchange), messo a punto ed effettuato per la prima volta in questa regione: una catena di trapianto di rene da vivente tra coppie donatore-ricevente incompatibili, innescata da un donatore deceduto.

Per concludere, come vede lo sviluppo di questa attività nel prossimo futuro? E una domanda un po’ provocatoria: non crede che tutti i centri di trapianto di rene, o quanto meno quelli con importanti volumi di attività, dovrebbero sviluppare anche questo tipo di trapianto?

La tecnica mininvasiva sicuramente in questo ambito ha costituito un’opportunità di sviluppo, così come i programmi sopracitati di trapianto AB0 incompatibile e crossover costituiscono un ulteriore motivo di espansione del programma. Per poter eseguire questo tipo di trapianto è fondamentale che il Centro abbia una grande esperienza e quindi anche un volume di attività adeguato, sia per quanto riguarda l’esecuzione della nefrectomia per donazione, sia per quanto riguarda il trapianto, che rispetto al trapianto di rene da donatore deceduto, può presentare delle complessità tecniche maggiori. 

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